Sinisa Mihajlovic è tra i protagonisti del calcio italiano più interessanti da ascoltare. Nel corso di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’allenatore serbo ha raccontato la sua vita. Mihajlovic ha parlato dell’influenza della guerra nel suo paese, che lo ha reso più sensibile alle tematiche dei diritti umani, tanto da aver incontrato l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema per chiedere la fine dei bombardamenti da parte della Nato. Impossibile poi non parlare dell’esperienza con la sua malattia, che ha affrontato sempre a testa alta e senza vergognarsi di nulla.

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Il racconto di Sinisa Mihajlovic, tra la malattia e la guerra

E’ giusto che la lotta contro il cancro venga definita come una sfida da vincere?

“Oggi, solo oggi, capisco la domanda. Ammalarsi non è una colpa. Succede, e basta. Ti cade il mondo addosso. Cerchi di reagire. Ognuno lo fa a suo modo. La verità è che non sono un eroe, e neppure Superman. Sono uno che quando parlava così, si faceva coraggio. Perché avevo paura, e piangeva, e si chiedeva perché, e implorava aiuto a Dio, come tutti. Pensavo solo a darmi forza nell’unico modo che conosco. Combatti, non mollare mai”


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E chi non ce la fa?

“Non è certo un perdente. Non è una sconfitta, è una maledetta malattia. Non esiste una ricetta, io almeno non ce l’ho. Tu puoi sentirti un guerriero, ma senza dottori non vai da nessuna parte. L’unica cosa che puoi fare è non perdere la voglia di vivere. Il resto non dipende da noi”

Il nome falso in ospedale

“Al Sant’Orsola mi avevano dato questa falsa identità, Cgikjltfr Drnovsk di 69 anni, per non attirare curiosi che disturbassero gli altri malati. Dopo i primi due cicli di chemio, dimostravo altro che 69 anni. Trovavo ironico quel senza fissa dimora affibbiato a me, che in ogni stadio ero accolto dal coro di zingaro di m…”

Qualcosa in carriera che, tornando indietro, non rifarebbe?

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“Ottobre 2000, Lazio-Arsenal di Champions League. Da quando gioco a calcio ho dato e preso sputi e gomitate e insulti. Succede anche con Vieira. Gli dico nero di m… tre giornate di squalifica. Sbaglia, e tanto. Lui però mi aveva chiamato zingaro di m… per tutta la partita. Per lui l’insulto era zingaro, per me era m… Nei confronti di noi serbi, il razzismo non esiste”

Il primo incontro con Zeljko Raznatovic

“Quando io giocavo nel Vojvodina, al termine di una partita combattuta l’avevo insultato non sapendo chi fosse. Quando mi ingaggiano alla Stella Rossa, mi convoca nella sua villa. Pensavo mi volesse ammazzare. Invece fu gentile, affabile. ‘Qualsiasi cosa ti serva, Sinisa, sai che puoi venire da me. Ti lascio il mio telefono’. Nei miei anni a Belgrado l’ho frequentato per circa 200 sere all’anno. Forse all’inizio c’era la fascinazione del male, poi diventammo davvero amici. Quando morì, pubblicai il famoso necrologio che mi ha attirato tante critiche per il mio amico Zeljko, non per il comandate Arkan, capo delle Tigri. Non condividerò mai quel che ha fatto, e ha fatto cose orrende. Ma non posso rinnegare un rapporto che fa parte della mia vita, di quel che sono stato. Altrimenti sarei un ipocrita”

L’importanza delle radici serbe

“Nel 2000, quando stavano per cominciare i bombardamenti per il conflitto in Kosovo, la mia famiglia era a Roma con me. Mio padre, un ex camionista, un uomo semplice, mi disse: ‘Sinisa, io torno a casa’. Lo odiai per questo. Qui aveva tutto, e invece sceglieva la nostra casa semidistrutta in un paesino senza nulla. Ma erano le sue radici. Ci ho messo tanto a riconciliarmi con lui, ma poi ho capito”

L’incontro con l’allora Presidente del Consiglio, Massimo D’Alema

“L’aveva organizzato Sergio Cragnotti, presidente della Lazio. Volevo fargli capire che i bombardamenti della Nato avrebbero provocato la morte di tanti innocenti. Fu cortese. Mi disse che non poteva farci niente. Quella era una guerra americana. Io non amo l’America, proprio no. Pensi che il midollo per il trapianto mi è stato donato da un cittadino statunitense. La vita è piena di sorprese”

Il ritorno dopo la malattia

“Venticinque agosto 2019. Prima di campionato a Verona. Peso 75 chili, ho solo 300 globuli bianchi in corpo. Imploro i medici di lasciarmi andare. Rischiavo di cadere per terra davanti a tutti e un paio di volte stavo per farlo. Nel sottopassaggio mi sentivo gli sguardi di compassione addosso. Quando mi sono rivisto in televisione, non mi sono riconosciuto”

Non è stato un rischio?

“Forse ho rischiato, ma volevo dare un messaggio. Non ci si deve vergognare della malattia. Bisogna mostrarsi per quel che si è. Volevo dire a tutte le persone del mio stato, ai malati che ho conosciuto in ospedale di non abbattersi, di provare a vivere una vita normale, fossero anche i nostri ultimi momenti”

Non è stanco degli applausi e dell’affetto di tutti?

“Mi ha aiutato molto. Ma ora basta. Non vedo l’ora di tornare ad essere uno zingaro di m…”

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