Gilles Simon è un veterano del circuito Atp, nel quale è entrato ormai 18 anni fa. In una recente intervista, il tennista ex numero 6 del mondo ha duramente criticato il metodo di insegnamento nella scuole di tennis in Francia che, secondo lui, cercherebbero di trasformare ogni giovane talento in un “nuovo Roger Federer”, lasciandolo solo appena commesso il primo errore. Simon ha spiegato invece come ognuno debba essere libero di sviluppare un proprio stile di gioco, differenziandosi da tutti gli altri, cosa che invece non accade in Francia, dove si cerca sempre la perfezione.
Lo sfogo di Gilles Simon contro la scuola tennistica francese
“Nonostante l’assenza di risultati, la parola d’ordine è non cambiare nulla. Il nostro progetto di formazione è sconnesso dalla realtà del campo. I nostri giovani vengono allenati tutti allo stesso modo. Certo, c’è una struttura, ma non ti spinge a distinguerti, a farti trovare la tua propria identità di giocatore, con il tuo stile o le tue ambizioni. Sappiamo che Novak Djokovic si è ispirato solo a Novak Djokovic. Non gli è stato detto: ‘Ti ispirerai a Tizio o a Caio’. Rafael Nadal, era prevedibile che con tutta la sua famiglia concentrata su di lui avrebbe giocato come nessun altro. Alla fine, il nostro sistema vorrebbe imporsi sugli altri. Ciò funziona quando l’obiettivo è far entrare il maggior numero di giovani nella top 100. Ma coloro che volessero puntare alla top 10 o andare avanti negli Slam dovranno contare sul loro talento e la loro forza mentale, cioè su loro stessi”
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Una considerazione sulla sua carriera
“Nessuno potrà mai dire che non abbia voluto vincere uno Slam o un grande torneo. Soddisfatto dei risultati? Si, perché non avrei potuto fare di più. Con il mio stile di gioco, spendevo troppe energie nei primi turni, questo è sempre stato il mio difetto. Mentalmente non avevo abbastanza convinzione, il mio secondo grande limite. Il tennista francese cresce con l’idea che un vincitore slam non debba ‘tremare’. Ai bambini quando cominciano a giocare e si fanno prendere dalla paura e perdono, viene detto loro che non ce la faranno mai. Io direi loro: ‘Accetta la tua paura, parliamone, cerchiamo di capire a cosa è dovuta, poi cercheremo di forgiare le tue armi per crescere in campo’.
Tutti i giocatori provano la paura allo stesso modo?
“In Federer forse si vede meno che negli altri. Ma perché Djokovic fa yoga? E Rafa, ha un killer instinct perché si colpisce sempre la coscia urlando ‘vamos’? Mi spiace, ma conosco vincitori di Slam che non hanno la stessa rabbia. Alcuni giorni fa ho parlato con Marin Cilic che mi ha detto che essere competitivo non fa per lui. Ricordo che Marin ha vinto lo US Open nel 2014 e ha disputato altre due finali major, oltre a batterci spesso in Coppa Davis. Perché non sarebbe un esempio da seguire?”
La scuola francese cerca di seguire in tutti i modi il modello Federer?
“Non dico esattamente questo. Dico che in Francia si punta da sempre su un tennis offensivo e si associa il tennis d’attacco a uno stato d’animo. Si dice ai giovani che devono aggredire, andare avanti, fare serve&volley… quando il serve&volley è praticamente scomparso. Ai ragazzi viene insegnato che o fai come Federer o niente. Io dico: smettetela con questi discorsi, smettetela di esaltare un attaccante supremo su cui dovrebbero forgiarsi tutto. Ci sono tanti altri modi di esprimersi e di vincere. E poi, per me, non esiste un tennis brutto. Con questa idea di considerare Roger Federer l’abc del tennis, ci chiudiamo delle porte. Perché non considerare che un difensore vincente possa fare bene al tennis? Djokovic è un conquistatore, Nadal è un conquistatore. Non vedo l’ora che tutti e tre i grandi siano alla pari con 20 Slam, così una volta sorpassato Roger, forse la smetteranno di dire: “Il tennis supremo è Federer”
I problemi della Francia in Coppa Davis
“La Coppa Davis fa parte della nostra cultura. La si vuole giocare ad ogni costo. Per questo, bisogna piacere al capo. Nel mio caso, il mio capo, il mio capitano, è stato a lungo Guy Forget. Ma a forza di sentirlo dire che Tizio giocava sempre meglio di me sull’una o un’altra superficie, mi persuadevo che tutti gli altri fossero migliori di me, anche i giocatori al di fuori della top 30. Così tornavo a casa totalmente depresso. Arnaud Clément ha creduto che potessi essere solo il quinto uomo della squadra. Poi Yannick, che si lasciava guidare dal suo feeling, mentre io cercavo di avere un approccio razionale in gara. Con Clément, sono riuscito a conquistare la sua fiducia alla fine del suo mandato. Per quanto riguarda Guy Forget, non ho mai avuto la sua fiducia e non l’ho mai conquistata. Con Yannick non ho mai perso una partita quando era capitano ma il suo fare istintivo mi destabilizzava. In Coppa Davis, avevo la sensazione che ad ogni allenamento ci fosse la mia vita “in gioco”. Per alcuni funziona. Nel mio caso, ciò non fa che provocare stress”.
Vorresti diventare capitano della Francia in Coppa Davis?
“Mi piacerebbe moltissimo perché per me sarebbe l’occasione di fare diversamente. Fino ad ora, l’idea comune dei capitani era quella di appoggiarsi a un leader – Jo Tsonga la maggior parte delle volte, a cui capitava perfino di giocare infortunato . Potevi essere più forte o battere il leader in allenamento, non avevi nessuna possibilità di essere n. 1 della squadra. Se fossi capitano, terrei conto piuttosto degli avversari che di questa gerachia predefinita. E mi appoggerei esclusivamente sui giocatori di singolare. In Francia si ha l’idea che bisogna per forza vincere il doppio. Ma il doppio è un punto su cinque, eppure, per i miei capitani, era quasi sempre il punto più importante del tie. La loro spiegazione: ” Abbiamo sempre fatto così, perché dovremmo cambiare?“
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