In occasione dell’uscita della sua autobiografia in Italia, Andre Iguodala ha rilasciato un’intervista a Sky Sport, dove ha ripercorso le tappe più importanti della sua carriera.
Il campionato NBA sta per ripartire, con le venti squadre ancora in corsa che si raduneranno a Orlando, in Florida, all’interno del parco di divertimento di Disney World. Proprio nello stesso punto in cui la carriera di Iguodala, ben 19 anni fa, prese una svolta importante.
Il tre volte campione NBA con i Golden State Warriors ha spiegato come nel parco di divertimenti più famoso del mondo abbia capito come la pallacanestro potesse essere la sua carta vincente per lasciare Springfield, la città in cui è nato e cresciuto. L’ex ala piccola ha ripercorso la sua carriera, partendo dall’esperienza in NBA iniziata con i Philadelphia 76ers, con il quale ha giocato dal 2004 al 2012. Poi un anno di transizione con la maglia dei Denver Nuggets, prima di arrivare a San Francisco, dove con i Golden State Warriors vincerà ben tre anelli in soli cinque anni, vivendo gli anni migliori della sua carriera. Ora, nel 2020, Iguodala è pronto a ripartire, dopo aver scelto di vestire la maglia dei Miami Heats, facendo partire un progetto importante che vuole riportare la squadra a vincere di nuovo un titolo, dopo la doppietta nel 2012/2013 firmata dallo straordinario Lebron James.
La scelta dei Miami Heat
“Ho scelto Miami perché sapevo che il loro focus fosse la vittoria. Qui tutti hanno una cultura che riesce a massimizzare le opportunità e a tirar fuori da ciascun giocatore sempre il massimo. Qualche anno fa lessi il libro scritto da Pat Riley, ‘The Winner within’, da allora sono sempre stato un suo grande tifoso”
Il paragone tra gli Chicago Bulls di Michael Jordan e i Golden State Warriors degli ultimi anni
“Ovviamente durante il lockdown ho visto ‘The Last Dance’, lo hanno visto tutti. Considerando tutto ciò che di pazzesco girava attorno alla squadra direi che l’umore e lo stato d’animo all’interno del nostro spogliatoio sono sempre stati molto solidi. Se devo paragonare le due situazioni, mi viene in mente quando Michael Jordan raccontava di come non potesse andare da nessuna parte perché tutto il mondo sembrava volergli stare vicino, avere ‘un pezzo’ di lui. E’ molto simile all’interazione coi tifosi che abbiamo vissuto noi, amplificata ancora di più dalla presenza dei social media. Abbiamo vinto tre titoli in cinque anni, in effetti è davvero un ottimo risultato. Ma è difficile comparare il nostro gruppo alle grandi squadre del passato, perché noi abbiamo giocato con regole diverse, in un’era diversa”
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Qual è il traguardo più importante nella carriera di Andre Iguodala?
“Ho vinto l’All-Star game, sono stato campione NBA, ho vinto l’Oro Olimpico e sono stato MVP delle finali NBA, sono tutti risultati incredibili. Ma guardo a questi riconoscimenti come alla conseguenza di aver provato a massimizzare lungo tutto l’arco della mia carriera i diversi talenti che ho avuto la fortuna di ricevere in dono. Cerco di fare in modo che non sia un premio a definire il mio successo”
Come descriveresti le battaglie nelle finali NBA con Lebron James?

Iguodala in campo con Steph Curry
“Se la componente atletica sicuramente ha un ruolo, per giocare nella NBA devi essere in grado di eseguire a un livello di perfezione assoluta. La gente tende a sottovalutare l’aspetto mentale del gioco e l’intelligenza di molti di noi giocatori. Per affrontare LeBron mi preparavo in maniera maniacale: avevo studiato come spesso la sua prima giocata offensiva prevede un contatto fisico con il quale cerca di spazzarti via dal campo. LeBron è fortissimo fisicamente, per cui spesso funziona. Ho sempre pensato che se fossi stato in grado di reggere quel primo contatto senza muovermi, allora avrebbe dovuto cambiare in corsa il suo piano. Nell’affrontarlo un’altra delle mie priorità era quella di avere sempre presente dove sarebbe stata la palla: se fossi riuscito a restare concentrato, sarei riuscito a strappargli il pallone circa sei volte su dieci”
Il suo rapporto con gli italiani della NBA: Danilo Gallinari, Marco Belinelli e Nicolò Melli
“Melli l’ho affrontato in campo una sola volta, troppo poco per dire di poterlo conoscere. Belinelli si adatta alla perfezione a quello che è lo stile di gioco della pallacanestro moderna, nella quale il tiro è una componente fondamentale, di grande valore. È davvero impressionate la sua capacità di tirare in movimento, che sia sulla sua spalla sinistra o su quella destra. In attacco è molto pericoloso anche perché è bravissimo a muoversi in continuazione, anche senza palla”
Un’opinione sul problema del razzismo in America
“Anche molte persone non di colore sono stufe marce, proprio come noi, del razzismo sistematico che impera nel nostro Paese. Sono fortemente convinto che il razzismo sia un problema delle persone bianche. Spetta infatti agli oppressori riconoscere la posizione di privilegio che i propri antenati hanno costruito per loro, e sta a loro per primi essere responsabili affinché tutto questo possa cambiare”
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