E’ stato uno dei giocatori italiani più amati di sempre. Ha saputo incantare i tifosi di tutte le squadre in cui ha militato, sia con gesta sportive uniche, che con un comportamento mai sopra le righe e sempre molto sportivo. Parliamo ovviamente di Roberto Baggio, grande protagonista del calcio italiano negli anni ’90. “Il Divin codino” è il film che racconta la vita dell’ex numero 10, dal suo rapporto con Arrigo Sacchi e la Nazionale Italiana ai Mondiali negli Stati Uniti del 1994, fino al termine della carriera a Brescia, sotto la guida del “mitico ” Carlo Mazzone. Da ieri il film è disponibile in streaming e a presentarlo non poteva essere che Roberto Baggio stesso. In una lunga intervista, il divin codino ha spiegato le motivazioni che lo hanno portato ad accettare la realizzazione di questa pellicola, nonostante il carattere molto schivo ed introverso.
Le parole di Roberto Baggio
Come ci si sente a vedere un film sulla propria vita?
“È emozionante, non succede spesso. Tante tensioni e tante domande. Io non volevo fare il film perché alla fine dicevo cosa vuoi che interessi alla gente della mia storia. Grazie alla spinta del mio manager e di mia moglie l’ho fatto. Ero prigioniero della mia timidezza e mi sentivo inutile per una cosa così grande. Pensi sempre che le storie degli altri abbiano più valore. Per fortuna vivo una vita molto semplice fatta di piccole cose ed è la mia natura che mi porta a questo. Oggi se uno prende le cose troppo sul serio finisce male. È un fatto di protezione che uso quello di starmene un po’ tranquillo. Ho pianto come un bambino sentendo la canzone di Diodato perché sono quelle cose che ti toccano profondamente. Ha scritto una poesia”
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Il secondo grave infortunio e la rinuncia ai Mondiali del 2002
“Non ho idea dei vetri rotti nell’officina di mio padre. Quando provavo le punizioni ogni tanto li spaccavo e il problema era recuperare la palla prima che lui me la prendesse. C’è stato un momento quando mi sono rotto il ginocchio la seconda volta a 35 anni in cui ho pensato di ritirarmi. Il mio sogno era quello di andare ai Mondiali in Corea e Giappone nel 2002. Quando ho subito quell’incidente ho detto è meglio chiudere qua perché mancavano pochi mesi e mi ero veramente abbattuto. Poi passa la rabbia e quando hai delle persone che ti sanno consigliare intorno cambi la tua visione e torna la voglia di rimettersi in gioco per tornare a sognare ancora. La parte spirituale credo che sia fondamentale in ogni situazione. Spesso quando succedono queste sofferenze uno spera che arrivi qualcosa da fuori. Il buddhismo mi ha insegnato che tutto proviene da un cambio di atteggiamento. La mia famiglia è stata un’altra grande fortuna della mia vita”
Il bellissimo rapporto con Carlo Mazzone
“Quando vado in giro per la mia città uso la Panda. Andrea Arcangeli è stato un professionista incredibile. Mi interpretava al 100% in tutto. Abbiamo parlato diverse volte ma io gli ho sempre detto di stare tranquillo. Credo che poi le responsabilità non fanno bene a nessuno, alla gente bisogna regalare fiducia. Sono legato a Mazzone perché è stata una persona importante che mi ha recuperato in un momento nel quale non trovavo squadra e si è formato un legame sincero e spontaneo. È stato come un secondo padre. La gente che viene allo stadio è la parte più sincera del calcio e per questo ho sempre avuto un grande rispetto”
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